lunedì, maggio 09, 2005

"Ascoltando Paolo Conte" di Alfredo Miccio

"Ascoltando Paolo Conte[1]"
fugaci notazioni sulla musica di un Maestro della canzone d’autore
di Alfredo Miccio, articolo apparso sul primo numero della rivista "Tono Minore" novembre 1996

La Canzone Anfibia
Per parlare di Conte, i rigidi schematismi della storia e le sue causalità minacciose sembrano utili quanto una cartina autostradale lo può essere per un naufrago. Le notazioni riportate, temporalmente parlando, risultano difficilmente ordinabili : il Maestro e la sua Arte poco si prestano ad essere vivisezionate, strutturate per precisi periodi, canalizzate in contesti determinati. Si vorrebbe comunicare l’emozione, la profonda vitalità, l’Elisir prezioso distillato dal geniale demone Contiano, aprire le porte di questo cosmo fantasmagorico e guidarvi un poco, per poi lasciarvi vagare liberi in questa terra vibrante di melodie, singolarmente abitata e rigogliosamente ricca di climi e di luoghi. Vi sono certamente sfaccettature e atteggiamenti che nel tempo si modificano, incerto e difficile rimane individuare l’esatto momento in cui determinate visuali mutano. Una svolta evidente si ha a metà degli anni ’80[2], già presente in nuce e sviluppatasi lentamente durante i primi anni di quel decennio[3] : prima di allora i testi sono più lirici, il Maestro sembra raccontarsi di più[4], ma di botto, con voce stridula e continua, quasi estenuante. Conversava “sopra la musica” Paolo Conte, con le sue inflessioni dialettali, la sua parlata strascicata, la sua dizione trasandata, le sue approssimazioni canore contigue alla stonatura ; ma anche con accorgimenti che, frequenti in poesia[5], davano alle canzoni un tocco futurista : inopinate pause ritmiche (“quan/d’ecco”, “cam/mina innanzi a me”[6], “guardo una ca/meriera”[7]) oppure ardite cesure alogiche (“pianura/padana”, “dentro/un bicchiere di acqua”[8]). Alla fine, la sua rude e dignitosa serietà era così naturale da far credere a tutti che stava cantando davvero[9]. Le musiche, meno ricercate, rivelano le semplici alchimie degli arrangiamenti ed anche l’orchestra è di là da venire, sostituita da quel personalissimo strumento che è il Kazoo[10]. Poi le cose impercettibilmente cambiano : arriva l’orchestra “che si dondolava come un palmizio davanti a un mare venerato...”[11] e i testi si ritirano, si ispessiscono di significati sempre più reconditi[12] mentre la voce si fa lontana, dolcemente salmastra. Com'è strano il successo : porta a Conte il suo giocattolo preferito, l’orchestra, gli permette di giocare con le tonalità, con le sottili, ineffabili affinità e dissonanze degli strumenti, ma lo investe e forse lo spaventa. Egli allora si difende con la musica e paradossalmente non fa che aprirsi di più al suo pubblico : non più con il testo, comprensibile ancora e tuttavia meno autobiografico, più intricato ed elegantemente elaborato, ma con il linguaggio universale e diretto delle note, con i profondi intrecci della musica. La ricerca si fa più serrata ed elaborata sul piano musicale appunto, per “scrivere musica fuori moda, un po’ segreta, che vada a cercare in fondo a noi le risonanze della nostra identità.”[13] Rimane comunque la voglia di raccontarsi al Nostro Autore, di far sapere a chi ormai lo segue con entusiasmo che c’è una maschera, un Paolo Conte da carta patinata e un Uomo Camion, un Mocambero che vorrebbe ancora amici a cui dedicare canzoni[14] e non solo un pubblico osannante da riverire, ringraziando dal palco.[15] Macaco sornione questo Paolo Conte che dice cose struggenti, amare parole salate, ma non sai mai se è serio o ti sta prendendo per il sedere[16], con quel suo buttar via le parole, cioè non dar loro un peso enfatico e nello stesso tempo sottolinearle da attore consumato, camminando fra le cose per renderle immense, monumentali e tuttavia attraverso un’operazione d’odio per tutte le retoriche assenti e presenti[17]. Assaporando la musica della parola, gioca con le sue ironiche e vibranti sonorità : “via da questa mischia, c’è qualcuno che cincischia... ma la storia se ne infischia...”[18], “ giura che mai tu passerai ad altre danze, come si passa in altre stanze...”[19]. Oppure si diverte con le ambiguità dei termini : “Le donne odiavano il jazz «non si capisce il motivo» du-dad-du-dad...”[20] dove scherza col doppio significato di “motivo” musicale in un caso, causa-ragione nell’altro. Le parole vengono sovente adoperate più per cantare che per comunicare pensieri, quasi che il testo sia un ulteriore strumento al servizio della melodia: come in “Teatro” [21], dove “Ei pera”, tragico verso dal “Nabucco” di Verdi (“Egli perirà”), diviene ludico artificio ritmico o in “Sijmadicandhapajiee”[22], dove il cantilenante motto astigiano (siamo cani da pagliaio) sembra richiamare misteriose formule di antica saggezza indiana. La voce trasmette ancora seducenti messaggi cifrati e solo che bisogna cercarli, Conte disdegna l’evidenza e forse, a ragione. Ma è soprattutto assistendo ad uno spettacolo di Paolo Conte che si intuisce l’estroso lavorio del musicista artigiano oltre che astigiano, professionalmente intento ad armonizzare ritmi e melodie, pause e sotterfugi, esaltando il recital dei concerti[23]. Le armonie prendono vita mentre la musica, “la vera musica”[24] palpita sotto le note di “un’orchestra eccitata e ninfomane”[25] e si avverte fisicamente il brivido caldo di quegli accordi, l’odore della musica suonata dal musicista che “si diverte e si estenua”[26]. Nelle mani di Conte la voce è uno strumento : ondeggia, si allunga, si distrae e poi zittisce nell’oblio della musica, ma riparte romanticamente, rauca arranca, si perde ludicamente in sottili arabeschi di straniere parlate, di futili non - sense, armeggia coi dialetti, partenope e calda o ironica e scaltra - astigiana - . Il ritmo impastato di vita e di tango non s'improvvisa da semplici incantatori, Celentani[27] da parrocchia, lo spessore si perde, l’atmosfera svapora, l’incantesimo si rompe. Egli come un divino sciamano[28] amalgama insieme l’Habanera, il Tango, la Rumba, la Milonga, mantenendo però fede al suo primo grande amore, il jazz[29] : “ Tango-habanera è, poi ancora, matrice naturale e storica di successivi fatalismi stilistici, suoi discendenti diretti : ragtme (primordio jazzistico con vogliosità europeizzante da antenato nobile e dotto) ; jazz (tendenza fortemente gestuale e contenente varie danze implicite, mare magnum di ogni stacco musicale di questo secolo ; sulle sue ascendenze, io sono fedele alla vecchia tesi di Jelly Roll Morton, secondo cui il blues deriverebbe dal tango...) .” [30] D'altronde è lo stesso Conte a non definirsi come un musicista di jazz, più che altro il jazz “gli arriva come divertimento, come atmosfera ; ironizza il rag, lo swing, il musical. Insomma è un mediatore di miti : Europa, Usa e tropici. Paolo Conte come Josephine Baker.”[31] Dai suoi Rag ironici alla Jelly Roll Morton trasuda il grande amore di Paolo Conte per gli anni Venti : per il fraseggio disinvolto di un Fats Waller[32], la magia raffinata di un Cole Porter o il clarino francesizzato di Sidney Bechet ; per Paul Whiteman o Jack Hylton e la loro capacità di mettere insieme jazz e ballabili, musical e melodie d’opera, la musica buona e la “cattiva musica” di proustiana memoria[33].

Messico e nuvole
L’ispirazione sembra venirgli più dal cinema che dalla letteratura. La sua è una lucida vetrina del Novecento, futurista - dadaista[34], filmicamente cinematografica[35], ma anche automobilisticamente trafficata di originalissimi oggetti: una Topolino amaranto, il dolce Zibibbo, l’aromatico Archebuse, il profumato Ratafià, il fresco Tamarindo, un pianoforte a coda lunga, inevitabilmente nero, gli umidi impermeabili autunnali o le sinuose collane di perle ; essi si materializzano in un immaginario universo di musica in cui sono ancora significanti e non solo significati ; mai grettamente lasciati a se stessi, comunicano con noi animati dalle melodie contiane : “Ci sono occhi che si cercano, ci sono labbra che si guardano, non mi fido in certi casi un pianoforte è un grido, ci sono gambe che si sfiorano e tentazioni che si parlano”[36]. Nell’universo contiano si fa molta strada : si può essere catapultati nella brumosa pianura padana con i suoi silenzi ed echi lontani[37] o attraversare a bordo di esitanti veicoli le Americhe, l’Argentina, il Perù, l’Uruguay, la loro disarmante bellezza, i cieli stellati, incontrare i gauchos nella pampa sconfinata, contemplare agili ballerini di Tango stringersi sensualmente[38], ma di nuovo a casa come da un sogno fantasmagorico nella campagna astigiana[39], alla vita di provincia, a “Bartali”[40] e ai suoi stradoni impolverati, per ripartire verso lussureggianti terre tropicali[41] e le loro donne di sogno, continuamente in balia dei mari e dei venti, tra la cosa più quotidiana e triviale, e quella più infinita. Vari paesaggi incapaci di scalfire però una quotidiana noia di paese, immobile e decadente, che ha per presupposto la solitudine[42] : la solitudine dello scapolo, della sfiorita signora dall’ambiguo passato, del gestore fallito di uno e più bar di periferia, delle nottate trascorse nel freddo di Alessandria a porsi questioni esistenziali, dell’astigiano in soggezione di fronte ad una Genova-Singapore[43]. Sono uomini e donne che nella vita di tutti i giorni soltanto incidentalmente possono aver attraversato il vostro cammino, tanto sono rari, caratterizzati da quel tocco di classe, di innata eleganza che rimodella anche il più goffo dei gesti quotidiani, caricandolo di significati reconditi, di ludica magia. Uomini[44] stanchi, disincantati, forse pessimisti, ma con un'intensa voglia di vivere e così dal disincanto, dal loro pessimismo scaturisce una forza vitale, un intima energia per continuare a pensare e a sognare. L’universo femminile è un discorso a parte, più complicato e complesso, come solo le donne lo sanno essere per gli uomini. Donna tempestosa, umorale[45] oppure algebrica e pensosa[46], o fatale, mentre danza nella calda sensualità, nella malizia inquieta del tango, ma anche amica[47] di cui innamorarsi dolcemente. Sembra quasi che a guidare Conte, nella ricerca affannosa di capire ed insieme descrivere le donne, sia una misoginia sottile[48] in fondo alla quale aleggia un’incomunicabilità leggera[49]. Dopotutto non si può amare totalmente una donna, senza odiarla anche, poiché nella sua presenza si riconosce l’ineluttabilità del destino, nei suoi occhi di ghiaccio e di fuoco il mistero della vita[50]. La donna in Paolo Conte è tutto questo e molto di più. Si prova un po’ d'invidia per questi personaggi che vivono in atmosfere inconsuete, incontrando ed essendo loro stessi affascinanti ed imprevedibili interpreti della vita. Verrebbe proprio voglia di dimenticare la strada e sedersi lì, accanto a Diavolo Rosso, a bere un'aranciata, mentre contro luce tutto il tempo se ne va[51]. Poiché Il tempo senza tempo di Paolo Conte contagia facilmente. Mentre “ Il tempo passa anche sotto ai sofà”[52], ieri, oggi e domani si confondono e così, perdendosene la continuità, “un oceano di attimi”[53] s'infrange sulla sabbia sempre uguale del destino degli uomini : “...domani...ma quel domani è già qui, è diventato oggi tanto in fretta”[54]. In fondo potrebbe essere anche una questione di ritmo, come fanno vorticosamente intendere i ballerini di “Dancing”[55], vivendo a tempo di rumba o di tango[56]qualcosa potrebbe cambiare, ed anche “la vita bagascia”[57] diventare meno noiosa, più sopportabile. Chissà..., ma oltre le banalità, l’arroganza delle giornate sempre uguali, si schiude alle volte “l’incantesimo sublime”[58], il lampo di un’estasi tanto attesa e sognata nel silenzio e nella solitudine del proprio animo. Un incantesimo che può essere suscitato tanto dall’amore che dalla musica, quasi che l’una fosse la continuazione naturale dell’altro[59] : come l’amante nell’amare, il musicista suonando si trasfigura, rompe i sottili lacci che lo legano allo spazio e al tempo circostante, si perde nel delirio inebriante suscitato dalla “musica che ti va fin dentro l’anima”[60]. Meglio approfittare di quell’attimo, di quel lampo, poiché “col tempo e col vento tutto vola via...”[61] , “...i giorni andati sono andati nel gusto bruto del tamburo nel fascino di certe stelle sparate conto il cielo scuro”[62] e oltre l’amore, oltre la musica c’è solo il caos di un mondo incomprensibile a cui non si appartiene e davanti al quale ci si sente sempre più “nudi e soli”[63] : “Ma poi la strada inghiotte subito gli amanti, per piazze e ponti ognuno se ne va, e se vuoi, li puoi vedere laggiù, danzanti, che più che gente sembrano foulards...” [64]. Tuttavia rimane un'inquietudine, un dubbio sottile, dal momento che anche l’amore è un gioco, anzi “un gioco d’azzardo”, “un gioco di vita, duro e bugiardo”[65] e con esso Conte ha un rapporto fatto insieme di fascinazione e di fuga, di ricerca e di rifiuto, di partecipazione e d'isolamento in una situazione di “voyeur”, isolato come l’eroe di “Hesitation”[66], nella sua tuta di “palombaro”. “E’ meglio star qui a guardare i pianeti ruotare davanti a me... nell’oscurità del rebus”[67], piuttosto che gettarsi a capofitto in una storia d’amore che potrebbe rivelarsi dolorosa : “Certe parole sanno di pianto, sono salate, sanno di mare”[68]. Dunque una dubbiosa e inquieta precarietà regna nell’universo contiano[69], tuttavia non c’è dramma in questo, più che altro si sente un'ironica e beffarda rassegnazione[70] per questa vita che assomiglia “a un foglio bianco da riempire”[71], dove “si sbagliava da professionisti”[72] e la salvezza sembra rimanere nelle emozioni sfuggenti, nel calore dei sentimenti momentanei, ma almeno sinceri, nella poesia della musica : “tanto, io capisco soltanto il tatto delle tue mani e la canzone perduta e ritrovata come un’altra, un’altra vita...”[73] La ricerca per qualche verso filosofica di Conte è ben rappresentata da una trilogia di canzoni, che nessuno meglio di lui può raccontarvi : “Sono qui con te sempre più solo è la storia di un uomo del dopoguerra che sogna al di là delle sue possibilità. Potenzialmente e sentimentalmente destinato al fallimento. Un uomo che ricomincia ogni volta a ricostruire sulle sue proprie rovine, e che, immancabilmente, rifà gli stessi errori. E’ proprietario di un bar che ha il favoloso nome di Mocambo. Di fatto, un misero locale. Vive con una donna troppo diversa da lui. Lei ha studiato ; lui è ignorante. Lei è colta, non è socievole ; lui è un bell’uomo, capace di brillare in pubblico ... In pieno fallimento, trova comunque il curatore che gli offre un caffè e, bevendo insieme questo caffè, i due si abbandonano alla solitudine e all’incomunicabilità. Nella seconda storia, La ricostruzione del Mocambo, sostanzialmente non è cambiato nulla. Lui vive con un’altra donna, di nazionalità e lingue diverse ...Ho inventato questa donna per parlare ancora dell’incomprensione. I motivi sono cambiati, ma sempre di incomprensione si tratta. Gli impermeabili è la visione notturna del suo mondo d’avventura che lo chiama ancora una volta, che lo fa uscire sotto la pioggia[74] per l’ennesimo fallimento. Dopo non ho più scritto altre storie di questo individuo, perché si è messo in società e ciò sarebbe costato troppi caffè al curatore ...”[75].





--------------------------------------------------------------------------------

[1] A Davide :“Jimmy, non pensare... zitto, che il nemico ci ascolta... Jimmy, non giurare con te stesso : è l’ultima volta... ne abbiam viste tante di regine andare sull’altro marciapiedi al sole e noi nell’ombra... ombra e sole, è sempre così...” (Jimmy ballando, Aguaplano, CGD 1987).

[2] Gli album di riferimento sono Paolo Conte (CGD 1984), Conserti (CGD 1985) e Aguaplano (CGD 1987). Mi è parso utile, per chi vorrà approfondire la conoscenza di questo geniale artista, indicare non solo la canzone a cui ci si riferisce, ma anche l’album in cui essa è collocata, la casa discografica e l’anno di pubblicazione. I testi sono tratti da Paolo Conte le Parole, Umberto Allemandi & C., Torino 1993.

[3] Ci si riferisce agli album Paris Milonga (RCA 1981) e Appunti di viaggio (RCA 1982).

[4] Il solo con cui Paolo Conte abbia condiviso la composizione delle musiche di alcune sue canzoni (“Arte”, Un gelato al limon, RCA 1979; “Una giornata al mare”, Paolo Conte, RCA 1974; “La topolino Amaranto”, Paolo Conte, RCA 1975) è il fratello Giorgio Conte, anch’egli apprezzato musicista. Per il resto tutte le canzoni sono interamente scritte dallo stesso Conte, sia nel testo, che nelle musiche. A scanso di equivoci è meglio chiarire subito che diversi sono gli album intitolati semplicemente Paolo Conte, tre per la precisione, pubblicati rispettivamente nel 1974(RCA), 1975(RCA), 1984(CGD).

[5] Il 30 settembre del 1991 riceve a Milano il Premio Montale per la nuova sezione “Versi in Musica”. A conferma del fatto, se mai c’è ne fosse stato bisogno, che l’arte di Paolo Conte supera agevolmente i confini della canzone d’autore, per rivelarsi come vera e propria poesia.

[6] Entrambe i brani sono tratti da “La giarrettiera rosa”, Paolo Conte (RCA 1974).

[7] Da “Una giornata al mare” , Paolo Conte (RCA 1974).

[8] Entrambe i brani sono tratti da “La fisarmonica di Stradella”, Paolo Conte (RCA 1974).

[9] Paolo Conte cantante racconta : “Mai avrei pensato di cantare io. Ancor oggi conservo una mentalità da autore , da quello che si sforza per prima cosa di far capire la sua canzone al pubblico, senza artifizi, da cuore a cuore, in tutta libertà.” (Dalla sua intervista in Conte di Monique Malfatto, Éditions Seghers, Paris 1989 in Conte a cura di E. de Angelis, Franco Muzzio Editore, Padova 1989.Traduzione di Alba Avesini).

[10] Più avanti il Kazoo si imporrà come una scelta e non più come un ripiego alla mancanza del sassofono, diverrà un asso vincente estratto dalla manica a tempo opportuno. Questo è un piccolo strumento musicale attraverso il quale si canta, costituito da un tubo aperto all’estremità, con un buco laterale coperto da una membrana.

[11] Da “Boogie”, Paris Milonga (RCA 1981).

[12] “Il paesaggio delle mie ultime canzoni è cambiato. Ci sono meno miti. Avevo cantato tutto : l’amore, l’esistenza, il jazz, l’uomo in bicicletta, l’automobile, l’uomo del dopoguerra ... Tutte le mie radici, i miei profumi, la mia campagna. Ero saturo. Non riuscivo più a rendere la forza delle cose, delle sensazioni come prima. Nulla era più vergine. E’ la verginità che ti permette di offrire quelle immagini calde, originali, che dopo non ritrovi più. Una volta avevo più fantasia. Oggi c’è un velo di malinconia nei testi ; i solitari come me, tendenzialmente malinconici, sempre un po’ esitanti, che hanno difficoltà a vivere la superficialità delle cose, sono sempre già un po’ vecchi ” (Ibi dem).

[13] Ibi dem.

[14] Si vuole ricordare la struggente “Il nostro amico Angiolino” dall’album Un gelato al limon (RCA 1979), dedicata a un pasticciere appassionato di “be - bop” che ringraziava per i regali musicali ricevuti con biscottini al vino.

[15] C’è un filo autobiografico che non si interrompe ed attraversa anche gli album del periodo più maturo : “Nessuno mi ama come mi amo io” da Aguaplano (CGD 1987), “Un vecchio errore” da Parole d’amore scritte a macchina (CGD 1990), “Per quel che vale” da ‘900 (CGD 1992) ed infine “Una faccia in prestito” dall’ultimo album omonimo (CGD 1995).

[16] Così definisce lo stile di Conte Amilcare Rambaldi, navigato presidente del Club Tenco, che, compreso il talento di Conte, nel 1976 lo invita a partecipare alla Rassegna sanremese ; d’ora in poi una sincera e familiare amicizia uniranno Conte e il Club Tenco.

[17] “Come pubblico, non amo che mi si spieghi quel che devo capire, non mi piace essere condizionato. Ciò che io propongo al pubblico è il mio stile, non una predica.” (Ibi dem).

[18] Da “Gratis”, Aguaplano (CGD 1987).

[19] Da “Schiava del politeama”, ‘900 (CGD 19992).

[20] Da “Sotto le stelle del jazz”, Paolo Conte (CGD 1984).

[21] Da Una faccia in prestito (CGD 1995).

[22] Da Una faccia in prestito (CGD 1995).

[23] Si notino le dissonanze fra le registrazioni negli album originali (Appunti di viaggio, RCA 1982 ; Un gelato al limone, RCA 1979) di “dancing”, “Diavolo rosso”, “Sud America” e “Blue tangos” e le rispettive versioni nell’album dal vivo Live (CGD 1988). Le forti emozioni dei concerti si possono rivivere in altri due album dal vivo: Concerti (CGD 1985) e Tournèe (CGD 1993), che include anche tre inediti “Bye Music”, “Ouverture alla russa” e “Reveries”.

[24] “Ci va carattere e fisarmonica, senso del brivido e solitudine per fare musica, la grande musica, con gli occhi a mandorla, e non si sa perché e non si sa perché...” (“La vera musica”, Paris Milonga, RCA 1981).

[25] Da “Il Maestro”, Parole d’amore scritte a macchina (CGD 1990).

[26] In “Alle prese con una verde milonga”, Paris Milonga (RCA 1981).

[27] Ci si vuole riferire ad “Azzurro”, cantata per la prima volta da A.Celentano, ebbene vi consiglio di ascoltare la versione cantata dallo stesso Conte, autore sia della musica che del testo, nell’album Concerti (CGD 1985), difficilmente ne rimarrete delusi. A dire il vero Conte inizia la sua fortunata carriera proprio come autore di celebri canzoni come “La coppia più bella del mondo” (della quale ha composto la musica, mentre il testo è stato scritto da Luciano Beretta), “Messico e Nuvole” interpretata da Enzo Jannacci o “Genova per noi” e “Onda su onda” interpretate da Bruno Lauzi. In quel tempo esercitava in tutta tranquillità la professione forense nella sua Asti, ma la musica lo perseguitava, e così iniziò, quasi per gioco, a scrivere canzoni...

[28] Uno sciamano Conte sembra lo abbia conosciuto davvero : Atahualpa Yupanqui, grande artista sudamericano, re incontrastato della milonga. “Atahualpa Yupanqui : è un dio, un genio. L’ho conosciuto a Sanremo, al premio Tenco. Mi ha fatto scoprire il rapporto di tenerezza che può esistere tra un musicista come lui e la canzone, nonché il sentimento fortissimo che ci può essere tra il cantante e il suo pubblico. A mia volta, ho voluto anch’io conoscere questo incontro d’amore.” Ibi dem.

[29] Di cui è notevole esperto, tanto da arrivare al 3° posto per l’Italia al Quiz internazionale jazzistico di Oslo nel 1960.

[30] Lettera di Paolo Conte al Collettivo Teatro Del Mago Povero per il loro lavoro Moby Dick, ovvero l’avventuroso duello di Capitano Cesare con la Balena Bianca, da e su Herman Melville e Cesare Pavese ; lettera nella quale vengono enunciati i criteri del lavoro musicale al quale aveva accettato di accingersi. Da Un Mocambo per Paolo Conte di Vincenzo Mollica, Il Candelaio, Firenze 1981.

[31] Così Enrico De Angelis, op.cit.

[32] “1935. In America si potevano ascoltare i dischi per telefono... cuori solitari - alienazione delle grandi città... uno cammina per Chicago nessuno in mezzo all’universo... entra in una cabina telefonica, sbatacchia le galosce sporche di neve... si toglie di tasca un gettone, fa il numero e si sente Fats Waller... il disco era un po’ più lungo del normale... in genere era un pot-pourri di tre motivi inanellati... sempre o quasi sempre erano dei capolavori... capolavori di arte pianistica... umorismo vocale... di swing, di impaginazione, di scienza dello show...Waller... che teneva in repertorio canzoni di routine dai testi tra i più sdolcinati e banali amava avventarsi sulle parole per irridere alla moda, alla stupidità del mondo... con la sua filosofia e il suo umorismo... complice così, al massimo grado, dello stesso uomo solitario che nella cabina del telefono aveva bisogno di una pacca sulle spalle...” (Paolo Conte in una trasmissione radiofonica notturna chiamata Jam Session , op.cit.).

[33] “Una canzone, quella di Paolo, che puoi portarti in tutti i viaggi come un prediletto libro di poesie.” (Vito Riviello, op.cit.).

[34] Non solo metaforicamente, infatti, Paolo Conte è anche un apprezzato disegnatore. Nel primo album Paolo Conte (RCA 1974) la copertina fu realizzata con un suo intrigante disegno che rappresenta lo stesso Conte( ? ) seduto a tre quarti su di uno sgabello, mentre una misteriosa donna gli cinge la schiena, mostrando le sensuali gambe accavallate e la fatale giarrettiera rosa. Anche il secondo album, intitolato ancora Paolo Conte (RCA 1975), Aguaplano (CGD 1987) e 900 (CGD 1992) portano un suo disegno in copertina, mentre Appunti di Viaggio (RCA 1982) ne mostra uno nella busta interna. Risale al maggio 1976 la prima mostra di disegni, appunti e canzoni dal titolo “Un’auto che sa di vernice, di donne, di velocità”, tenutasi alla Dürer Galleria d’Arte Contemporanea di Bologna, Terme di Castel San Pietro (Bologna).

[35] Ricordiamo che Conte è attivo anche nella composizione di musiche per il cinema ed il teatro, tra le molte opere ricordiamo : per il cinema “Tu mi turbi” regia di Roberto Benigni (1983) ; “Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada” regia di Lina Wertmüller (1983) ; “Sotto... sotto... strapazzato da anomala passione” regia di Lina Wertmüller (1984) e recentissimamente il cartone animato, tratto da un racconto di Gianni Rodari, “La Freccia Azzurra”(1996) ; per il teatro “Corto Maltese” di Hugo Pratt, Alberto Ongaro e Marco Mattolini, teatro Regionale Toscano/Teatro Goldoni di Venezia (1982). Nel 1996 riceve a Roma il premio per la miglior colonna sonora grazie a “Via con me” (Paris Milonga, RCA 1981) inserita nel film “French kiss”.

[36] Da “Aguaplano”, in Aguaplano (CGD 1987).

[37] Come in “La fisarmonica di Stradella”, Paolo Conte (RCA 1974).

[38] Richiamando “Messico e nuvole”, “Sud America” o “Ratafià”, rispettivamente dagli album Live (CGD 1988) ; Un gelato al limon (RCA 1979) ; Aguaplano (CGD 1987).

[39] In “Genova per noi”, Paolo Conte (RCA 1975), album per il quale nel 1976 ottiene il Premio nazionale della critica discografica.

[40] Dall’album Un gelato al limon (RCA 1979).

[41] Nelle dolci melodie di “Onda su onda” o “Blue Haway”, rispettivamente dagli album Paolo Conte (RCA 1974) e Paris Milonga (RCA 1981).

[42] “ Da solo sto bene. Mi piace star solo con me stesso. Solo, a farmi compagnia. Ho un sacco di cose da fare, con me stesso : scrivere, comporre, occuparmi di jazz, disegnare, dipingere... Il rapporto con gli altri mi disturba sempre un po’, è dispersivo. Si dicono tante di quelle sciocchezze, sempre le stesse. Si parla tanto per parlare. Ma perché ? Non si creda, comunque, che io sia del tutto un introverso. E’ che mi diverto di più quando sto da solo.” Ibi dem.

[43] Di “Genova per noi” dice lo stesso Paolo Conte : “ E’ sempre il tema dell’incomunicabilità. Il conflitto tra campagna e mare, l’angoscia di chi vive nell’immobilità delle colline, della campagna, e di colpo si ritrova davanti alla mobilità dell’acqua”. Ibi dem.

[44] Essi sono al tempo stesso dimessi (“Una giornata al mare”, Paolo Conte, RCA 1974 ; “La ricostruzione del Mocambo”, Paolo Conte, RCA 1975 ; “Troppo difficile”, Aguaplano, CGD 1987) o al contrario trasognanti ed eterei nella loro veste di antieroi contiani (“Onda su onda”, Paolo Conte, RCA 1974 ; “Wanda”, Paolo Conte, RCA 1974 ; “Sindacati miliardari”, Paolo Conte, RCA 1974 ; “Nessuno mi ama come mi amo io”, Aguaplano, CGD 1987).

[45] “...il corpo di lei mandava vampate africane...”da “Boogie”, Paris Milonga (RCA 1981).

[46] Come “La donna d’inverno”, Un gelato al limon (RCA 1979).

[47] Come in “Blu notte”, Aguaplano (CGD 1987).

[48] “Così tu sei cresciuta in quella diffidenza, fra un uomo e l’altro - pensi -, non c’è la differenza, di ogni tenerezza...la più completa assenza, il vuoto del tuo cuore rasenta la demenza” da “la ragazza fisarmonica” Paolo conte (RCA 1974).

[49] “Il mio viso si intontiva davanti al tuo parlare difficile c’era da indossare subito una camicia hawaiana e sventolare contento davanti a un cielo primitivo” da “Blue Haway”, Paris Milonga (RCA 1981).

[50] “Ah, giura che mai cancellerai con l’acqua ragia , quella vernice-oro che indugia, sul tuo corpo genial... danza per noi il ballo dei tuoi sette veli, facci arrivare ai sette cieli... schiava !...” (“Schiava del Politeama”, ‘900, CGD 1992).

[51] Parafrasando la vivace melodia di “Diavolo rosso”( Appunti di viaggio RCA 1982) che è un personaggio realmente esistito, un ricordo dell’infanzia di Paolo Conte, corridore ciclista piemontese, così chiamato perché vestiva di rosso e rossa era anche la sua bici.

[52] Da “Fuga all’inglese”, in Appunti di Viaggio (RCA 1982).

[53] Da “Uomo camion”, in Un Gelato al limon (RCA 1979).

[54] Da “Sindacato miliardari”, in Paolo Conte (RCA 1974).

[55] “E l’inquietudine e gli inchini, fan di me un orango, che si muove con la grazia, di chi non è convinto, che la rumba sia soltanto, un’allegria del tango...” da “Dancing” Appunti di Viaggio (RCA 1982).

[56] Detto contiano : “Il Tango è il riassunto della vita come la lucertola è il riassunto del coccodrillo”.

[57] Da “L’ultima donna”, Paris Milonga (RCA 1981).

[58] In “Dal loggione”, Un gelato al limon (RCA 1979).

[59] Questa compenetrazione fra amore e musica è ben rappresentata nella canzone “Alle prese con una verde Milonga”, Paris Milonga (RCA 1981).

[60] In “Dal loggione”, Un gelato al limon (RCA 1979).

[61] Da “Madeleine”, Paris Milonga (RCA 1981).

[62] Da “Vamp”, Live (CGD 1988).

[63] Da “Uomo-camion”, Un gelato al limon (RCA 1979).

[64] Da “Madeleine”, Paris Milonga (RCA 1981).

[65] Da “Gioco d’azzardo”, Appunti di viaggio (RCA 1982).

[66] Nell’album Aguaplano (CGD 1987).

[67] Da “Rebus”, Un gelato al limon (RCA 1979).

[68] Da “Gioco d’azzardo”, Appunti di viaggio (RCA 1982).

[69] “Parigi accoglie i suoi artisti pittori, mimi, musicisti, offrendo a tutti quel che beve e quel fiume suo pieno di neve... e l’illusione di capire con l’arte il vivere e il morire su antichi applausi a fior di pelle di molte donne ancora molto belle... blue tango..., blue tango, blue tango...”(“Blue tangos”, in Un gelato al limon RCA 1979). Conte ha un rapporto speciale con la Francia, in particolare con Parigi, che lo accoglie entusiasticamente al Thèâtre de la Ville in un crescendo trionfale di pubblico per tre indimenticabili serate nel marzo del 1985 ; da quel momento un filo rosso legherà per sempre Conte ai francesi e alle fragranze della loro terra.

[70] A tal proposito lo stesso Conte dice : “ Trovo sia più facile far piangere che far ridere, ma non si rende mai un buon servizio all’umanità facendola piangere. A far ridere si ha per lo meno la sensazione di compiere una buona azione. Io sono portato naturalmente al pianto, eppure mi sforzo di far ridere. Da ciò deriva la vena malinconica del mio umorismo...” Ibi dem.

[71] “Your life is just like a blank sheet to fill” in “Pretend, Pretend”, Paris Milonga (RCA 1981).

[72] “Bogie” , Paris Milonga (RCA 1981).

[73] Da “Madeleine”, Paris Milonga (RCA 1981).

[74] Cangiante è il rapporto instaurato da Conte con l’acqua nelle sue diverse rappresentazioni : mare dei desideri o delle immensità oscure e delle paure ancestrali (“Onda su onda”) ; tiepide docce purificanti (“Gelato al limon” e “Uomo camion”) ; piogge fredde, ma rassicuranti, nel grigiore della vita quotidiana di provincia (“Genova per noi” o “Gli impermeabili”) .

[75] Vorrei in fine ringraziare affettuosamente la signora Laura Natali e il Signor Giuseppe Ferlazzo per la gentilezza e disponibilità dimostratami nella ricerca del materiale.
Google