domenica, maggio 15, 2005

La Prima barca in legno non si scorda più

Mantova, 5 maggio 2003
All’inizio di tutto ci fu un Gin Fizz, l’emozione intensa di scoprire che issate le vele e spento il motore la barca potesse procedere ancora, via via meno goffa, sempre piu’ slanciata, in sintonia perfetta con il ritmo delle onde. L’abbrivio di un motore diesel, tanto rassicurante in certi frangenti, a sedici anni, divenne per me qualcosa di assolutamente lontano e inconciliabile con la magia del vento. Certo il mare lo avevo già conosciuto. Mio padre mi ha insegnato ad amarlo e, con orgoglio, a volte mi ricorda che fra le cose che sente davvero di avermi trasmesso c’è l’amore per il mare, trasmessomi da bambino, a bordo di una lancia a motore di nome “Alba” con cui, insieme a mia sorella Barbara, scorrazzavamo felici per la costiera Amalfitana, abbagliati dalla sua lussureggiante bellezza. Sono state estati di mare totale, di giorni passati dentro e fuori dall’acqua, di un sole accecante che pero’, strano a dirsi oggi, non scottava mai. Nell’acqua di mare si faceva ammorbidire il pan biscotto per l’insalata con i pomodorini ed il tonno; dopo Erchie, vicino alla scogliera a picco sul mare, accanto al faro bianco si raccoglievano i frutti di mare, mio padre in mare con il coltello ed io in barca a remare per tenere la barca lontano dagli scogli. Rammento che allora quella raccolta mi annoiava, adesso, quei ricordi suscitano in me emozioni forti, per non parlare di quanto ho imparato sul moto del mare vicino agli scogli e sulla perizia necessaria per remare senza faticare. Di notte, poi, si usciva a pescare, ma la pesca all’epoca non mi interessava gran che, l’emozione vera era uscire dal porto di notte, vedere l’acqua nella scia della barca, sotto l’influsso dell’incantesimo notturno, colorarsi di sfavillanti lampi verdi fosforescenti e il cielo perforato di stelle a farci compagnia. Andava sempre a finire allo stesso modo: appena agguantata l’ancora, messa l’esca e lasciati filare i lentini mi addormentavo placidamente, cullato dalle onde.
La passione per la vela è venuta dopo, a sedici anni appunto, grazie ad Enrico, è lui che mi ha portato in barca per la prima volta con quel Gin Fizz. A pensarci bene, non lo mai ringraziato per questa straordinaria scoperta, ma gli sono ancora assai riconoscente e del resto come potrei non esserlo, grazie alla vela ho conosciuto degli amici grandiosi e carissimi: Luca e Matteo quasi subito e poi tanti altri, difficilmente in barca a vela mi è capitato di incontrare persone sgradevoli o antipatiche. Dopo quell’esperienza c’è stato il periodo della passione maniacale e la decisione che la patente nautica sarebbe stata mia appena avessi raggiunto la maggiore età. Detto fatto, ancora prima di acquisire la patente stradale avevo già l’abilitazione vela e motore oltre le 6 miglia dalla costa. Mi ricordo le serate passate alla Lega Navale di Mantova, le corse in bici per raggiungere la sede dove si tenevano le lezioni teoriche, l’apparente facilità con cui apprendevo le tecniche per la navigazione stimata, io che non amo e non amavo assolutamente la matematica, grazie alla passione travolgente, riuscivo bene nelle esercitazioni, tanto da avere compagni di studio ben più anziani e qualificati che mi chiedevano aiuto; ancora oggi mi sembra impossibile. Ad una di quelle lezioni si presentò un ragazzo sulla trentina dai capelli ricci e lunghi, sembrava appena sceso da un bastimento: indossava un giaccone Henry Loid con il bavero alzato ed aveva quell’aria assente tipica, l’avrei imparato dopo, di chi ama cercare coi piedi un appoggio sicuro in pozzetto piuttosto che camminare agevolmente a terra. Era venuto a offrire la sua barca per delle uscite sul lago di Garda, nelle quali avremmo imparato a dovere le manovre necessarie per sostenere l’esame pratico a Savona, in particolare il recupero dell’uomo in mare a vela. Mi ricordo ancora la partenza da Mantova, una nebbia lattiginosa avvolgeva tutta la città, all’arrivo sul Lago, invece, la sconvolgente scoperta: lì regnava in un dolce tepore primaverile una bella brezza tesa. La barca era in legno sui 25 – 30 piedi, con il timone a barra, senza avvolgi fiocco, con una linea filante e la coperta bassa.
Armammo le vele e uscimmo dal porticciolo. Di quella veleggiata mi ricordo la sensibilità dell’armatore, il ragazzo, mentre preparava il caffè in dinette, sapeva dirci, ascoltando le vele e lo sciabordare dell’acqua sullo scafo, la nostra attuale andatura e dove stavamo immancabilmente sbagliando, a me sembrava un stregone; ricordo anche la mia poca dimestichezza con la sensibilità sopraffina della barra, l’avrei apprezzata tanti anni dopo, con gustosa ebbrezza, sul 470 nelle uscite estreme con Nicola dall’altra parte del Lago, a Castelletto di Brenzone.
Passano gli anni, in mezzo ci sono tante estati passate in barca, tanti ricordi fatti di mare, di vele che schioccano, di vento caldo che arriva da terra al tramonto, profumato e inebriante dopo l’adrenalina del solleone, ma il ricordo di quei primi passi non mi ha mai abbandonato e quella barca in legno mi è rimasta stampata nella testa. In una mattina d’inverno rivedo la stessa barca, quella delle mie prime manovre sul Garda, ormeggiata al Porto Catena sul lago di Mantova, presso i pontili della Lega Navale, non in buonissime condizioni, ma ancora armata e da allora, passando dal Lungo Lago, non posso non pensare a tutto quello che quella barca rappresenta per me.
Un giorno mi capita di vedere la barca fuori dall’acqua in un invaso, coperta da teli: sono felice, penso che sarà sistemata per bene per poter veleggiare ancora. Da quel momento però resterà lì, disarmata e morente e i teli col tempo spariranno
Durante le mie corse serali lungo il lago, che faccio quando il tempo me lo permette e la pigrizia non mi assale, inizio così a fantasticare, a pensare a quanto sarebbe bello acquistarla quella barca, sistemarla poco a poco e darle la possibilità di avere una seconda giovinezza. Questo viaggio mentale mi accompagna spesso, ne parlo anche con Silvia, penso a tutti i problemi che dovrei affrontare, alla mia totale inesperienza in fatto di barche in legno ed al loro recupero, alle spese che dovrei sostenere, ma niente, la barca delle mie prime uscite sul Garda fa ancora capolino tra i miei pensieri. Questa sera dopo la consueta corsa serale, mentre mi accingo a tornare a casa, mi affaccio per l’ennesima volta sul canale di Porta catena, e la vedo ancora lì nell’invaso, inizio allora il mio consueto sogno ad occhi aperti, ma questa volta decido di vincere quella ritrosia che mi ha sempre impedito in questi mesi di fare un sopralluogo sul posto. Voglio rendermi conto da vicino dello stato dello scafo, smettendo una buona volta di guardare quella barca da lontano, in preda alle mie elucubrazioni, rompendo il velo dei sogni e passando dalla fantasia ai fatti.
Prendo la bici, attraverso la strada e sono dall’altra parte, scendo verso il lago e dietro una pianta ecco l’invaso e la fine delle mie illusioni, del mio sogno ad occhi aperti: la barca ormai è in rovina, abbandonata al suo destino, c’è un grosso squarcio a prua sul lato di dritta, la parte dello scafo vicino alla deriva è tutta crepata e, sempre sul lato di dritta, manca un intero spicchio dello specchio di poppa. Sono deluso e triste, il legno squarciato, aggredito dalle formiche, mi innervosisce e mi addolora, mi sembra di essere dinanzi ad un animale ferito che aspetta il colpo di grazia. Sarebbe meglio smantellarla piuttosto che lasciare che il tempo lentamente la risucchi via, farla marcire così è un’ingiustizia. Solo in quel momento mi rendo conto di come e quanto le barche il legno siano diverse dalle altre, la sensazione di essere accanto a qualcosa che un tempo aveva un anima, qualcosa di vitale è intensissima, quasi sconcertante. Accarezzo lo scafo scrostato, cerco di riprendermi, senza abbandonarmi a inutili sentimentalismi, ma poi vedo che tutto quello che si poteva asportare non c’è più: dalle luci di navigazione alla bussola, dai winch a tutto l’armo dell’albero, solo l’elica abbattibile, chiusa, fa bella mostra di sé a poppa e mi risale il magone. Dove sarà finito il ragazzo dal Giaccone con bavero alzato? Oggi, dopo quasi 13 anni, mi ritrovo alla età che lui presumibilmente aveva quando facevamo quelle prime uscite sul Lago di Garda, la sua barca giace qui a morire e a me piacerebbe tanto avere un amico che si intende di restauro, per capire se davvero la mia impressione è corretta e la barca è spacciata o se, invece, è possibile recuperarla e con quali costi. Ritorno a casa, ma continuo a pensare alla barca ed al mio passato, a come il mare e la vela mi sono entrati nelle vene, tra poco meno di due mesi nascerà mio figlio, spero di riuscire a trasmettergli questo amore che mi porto dentro.
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